venerdì 22 marzo 2013

Recensione: "Perfetto" di Alessia Esse


Questo è un libro che ho acquistato senza troppe riflessioni, cosa che, invece, mi capita spesso di fare quando un romanzo mi sembra promettente, ma non conosco molto bene l’autore. Prima di spendere i miei soldini ci penso sempre dieci volte: anche se magari si tratta di un costo relativo, come per gli e-book, se il libro si rivela poi deludente, mi sembra di aver subito un vero e proprio tradimento.
Conosco molto bene lo stile di Alessia Esse. Per quanto permettano i social network, un po’ conosco anche com’è lei e sapevo che, al di là di ciò che suggeriva la sinossi del libro, avevo appena acquistato un prodotto di qualità e che non mi sarei pentita per niente.
Per di più è una scrittrice esordiente e, quindi, al di là di tutto, darle una possibilità è più che doveroso.
Inoltre, si è auto-pubblicata. Di questo dettaglio, parlerò più avanti.
Allora, questo primo romanzo di quella che sarà una trilogia, mi è piaciuto molto. Ho ritrovato una scrittura fresca, semplice, chiara e fruibile da un pubblico vasto. Perfetto soddisfa ogni tipo di lettore, e lo affermo in qualità di non amante particolarmente il genere distopico. E’ una storia di grandi sentimenti: troviamo una straordinaria amicizia, l’amore incondizionato per la famiglia, il rispetto e la dedizione verso il proprio paese. Con la stessa cura con cui vengono tratteggiati gli aspetti positivi, l’autrice si dedica anche a quelli “negativi”: l’autorità imposta, il senso di ribellione, lo sterminio del genere maschile. E poi ci sono le sfumature: a mio parere, lì Alessia dà il meglio di sé. Il cattivo non è mai completamente cattivo, l’eroe non è immune alla paura, l’amico non è pervaso solo da sentimenti di amicizia. Infine, c’è l’amore a cui, secondo me, è riservato il giusto spazio considerando il contesto della storia, senza eccessi.
Perfetto non è una storia d’amore, ma non è nemmeno una storia d’amicizia.
E’ la storia di una trasformazione.
Conosciamo, qui, Lilac e la sua vita a Malorai. Ci lasceremo incuriosire dal personaggio della Vecchia, così come da quello di nonna Francesca e Vega G. In questa parte iniziale del romanzo, vengono gettate delle ottime basi: si chiariscono quei dettagli che differenziano Malorai dal mondo chiuso; si realizza anche la collocazione spazio-temporale e viene fatto in modo molto originale, inserendo la figura di Rose, un personaggio singolare di cui mi auguro sapremo molto di più in Segreto (il secondo libro della trilogia di Lilac). A cominciare dall’incipit della storia, proseguendo nel corpo centrale, fino alla conclusione, in ogni riga del romanzo ci sono sempre delle cime invisibili con un passato non del tutto dimenticato. Lo scenario cambia presto e segue un “on the road”, aspetto che molto appassiona questa talentuosa scrittrice e che viene trattato con la tempistica giusta, senza fretta e centrando gli elementi che saranno funzionali alla storia. L’“on the road” è mirabile a questo proposito: è il vero collegamento tra Malorai e ciò che resta del mondo, tra presente e passato, tra la Lilac che è stata e quella che è in divenire.
Com’era previsto, Perfetto si conclude senza concludersi realmente, ma l’autrice sta lavorando al seguito e sono certa che darà risposta a tutte le domande rimaste insolute. La trama di questa storia non è solo originale. E’ complessa, verosimile, intrigante. Lo stile è scorrevole, non pretenzioso, senza per questo apparire banale.
Riguardo le modalità di pubblicazione, mi pare doveroso spendere qualche parola.
Senza troppo girarci intorno, a mio parere, per il self-publishing in Italia dovrebbe essere conseguito tipo un brevetto, dopo  adeguato corso di laurea decennale. Un po’ come per la libera procreazione, cosa che mi sentirei caldamente di vietare con metodi alla Gestapo. Troppi sono gli scribacchini che si improvvisano grandi scrittori, compiendo scempi inauditi dei loro lavori e seminando un clima di terrore e diffidenza tra i poveri lettori. Come per molte altre cose in questo paese, si sta diffondendo l’abitudine del prendere scorciatoie comode per realizzare i propri sogni. Chi non ha talento va in televisione a ballare/cantare/spogliarsi e via discorrendo perché tanto, l’importante è farsi vedere, senza considerare che tra fama e fame c’è solo lo spazio di una vocalina. E quando sento “auto-pubblicazione” per gli autori italiani (oltreoceano è tutta un’altra storia. Ovviamente ci sono sempre le eccezioni e non tutti i self-publishing sono validi solo perché stranieri, ma c’è un’impostazione differente e la cosa si sente), spesso giro a largo. Ciò in cui si rischia di incappare sfiora l’indecenza nell’80% dei casi di auto-pubblicazione. Va anche detto, però, che lo stesso accade per molti prodotti provenienti dall’editoria (pure quella non a pagamento). Vi risparmio i dettagli: sto ancora cercando di dimenticare.
Il caso di Perfetto è tutt’altra cosa.
L’autrice sa cosa fa e sa dove mettere le mani. Ho riscontrato un buon editing (ci sono davvero pochissimi errori di battitura, l’ortografia e la grammatica sono eccellenti, qualche refuso solo negli ultimi capitoli, ma è un gusto personale) che nulla ha da invidiare agli editing professionali; particolari curati, sia nella copertina che nell’impaginazione; soddisfacente la reperibilità del prodotto, su Amazon o direttamente all’autrice; prezzo più che onesto (considerato che si buttano soldi veri per delle porcherie annunciate). Insomma, sono più che soddisfatta.
E mi sento di consigliarvelo, così come vi invito a recensirlo sui canali che reputate a voi più confacenti: voi ci perdete un’oretta, ma avrete reso un servigio ad una ragazza con del talento vero, che mette entusiasmo e passione in quello che fa, ottenendo ottimi risultati.
Personalmente, ritengo che oggigiorno siano dei diamanti in mezzo al mare.
Buona lettura a tutti!
  

mercoledì 20 marzo 2013

Obbligo o verità?



Ero un po’ indecisa se scrivere o meno questo post, ma mi sono detta che ciò che porta ad una riflessione vale la pena di lasciare traccia di sé e stasera sgorbio, il maggiore dei miei due figli, mi ha spinto a farne una, innescando, così, una reazione a catena.
Mentre lo asciugavo dopo il bagnetto, scherzavo con lui sulla sua altezza. “Quanto sei alto!”, gli ho detto. “Fra poco diventerai più alto di me”.
“Anche più di papà?”, mi ha domandato.
“Certo. Toccherai il soffitto”, gli ho risposto.
Lui mi ha guardato con due occhi così, grandi e pieni di speranza. Ma, poi, s’è rabbuiato e mi ha confidato che no, non vuole diventare tanto alto, perché se sei alto significa anche che sei tanto vecchio.
“E allora, non vuoi crescere?” gli ho chiesto.
“No, perché se sei vecchio poi dopo muori e non ci sei più”.
In due secondi, quella che era una conversazione scherzosa è diventato un dilemma esistenziale. Lo leggevo nei suoi occhi, nel modo in cui continuava a guardarmi per trovare in me una smentita clamorosa alle sue supposizioni.
Sono sempre stata molto chiara con i miei figli. Non ho mai mentito loro, non ho mai promesso qualcosa col solo scopo di rabbonirli o corromperli, ho sempre e solo detto la verità. Certo, in una forma non brutale, adeguando le parole alle intenzioni e alle situazioni, ma non ho mai creduto che, in quanto miniature, non avessero il diritto di essere trattati come persone dotate di propria volontà e di intelligenza. Perfino quando scalpitano ed urlano sul pavimento e vorrei tanto torcere loro il collo, così come immagino voglia fare la vicina del piano sotto al nostro, perfino in quei casi ho sempre pensato che alzare la voce per farmi ascoltare non porterebbe a nulla, se non a temermi e ad allontanarli.
Oh, ci sono eccome le volte in cui l’aria democratica che si respira in casa diventa solo un ricordo lontano e mi trasformo nel peggiore dei tiranni, ma per lo più sono della scuola “parlare fino a schiumare ai lati della bocca”.
Quando sgorbio mi ha esposto le sue considerazioni in merito alla vecchiaia ho fatto un vertiginoso tuffo nel mio passato. Avrei potuto liquidare la questione come tante volte è stato fatto con me, che con la morte ho avuto a che fare molto presto nella mia vita. “Sei piccola. Di queste cose non devi preoccuparti”. Oppure, un altro must “Quando non ci saremo più qui, saremo in cielo”, come se un bambino che sta appena iniziando ad orientarsi nel mondo dovesse trovare naturale pensare che nel futuro potrebbe vedersi spuntare un paio d’ali dietro la schiena, sovvertendo tutte le più elementari leggi della fisica di cui avrà faticato tanto ad appropriarsi e che, se gli andrà bene come la madre, come esame ripeterà almeno tre volte all’università prima di strappare un 30 grondante, letteralmente, sangue e sudore.
Ebbene, ho pensato al fascino ammaliante posseduto dalle verità abbellite ad uso e consumo degli adulti più pigri - o, forse, più imbarazzati da quelle domande che, di sicuro, in quanto a difficoltà battono quasi tutte quelle che mi sono state poste finora - e, lo ammetto, mi sono fatta tentare per un istante. Ma poi, mi sono vista bambina com’è mio figlio ora, stessa età, stessi occhi, e le parole di una compagna di scuola di prima elementare mi sono rimbombate nella testa. “A me non m’importa niente che ti è morto il padre”, scoprendo così che non erano viaggi lontani, né le famose ali magiche ad impedirmi di vedere mio padre, ma solo una cosa sconosciuta, molto meno avventurosa o poetica, che si chiamava morte e che, come capii più tardi, nelle intenzioni della maestra che aveva istruito tutti i miei compagni di classe eccetto la sottoscritta, avrebbe dovuto farmi ottenere un trattamento privilegiato da parte degli altri alunni, scatenando invece incomprensione ed ostilità.
E come può capitare solo ad una madre, il cervello ha pensato tutte queste cose in meno di due secondi per scovare la risposta non esatta, ma soltanto quella più onesta, quella che tutti meriterebbero.
In conclusione, cosa ho risposto a mio figlio?
Che la morte può far paura e che non sarà una cosa bella, ma è naturale. Come la vita. E che deve ricordare sempre le mie parole, anche se adesso gli possono sembrare strane: più della morte, è dell’assenza di vita che deve spaventarsi.
Immagino che mi sia andata di lusso, specie se penso che sto ancora cercando la risposta ad un'altra domanda che mi è stata posta, sempre da sgorbio: come fa Gesù ad aiutarci se è "incrociato"? Non sarà meglio chiedere alla sua mamma?
Si accettano suggerimenti.